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IL PUNTO

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Contro la crisi economica e sociale rilanciare la prassi dell’azione diretta come strategia di lotta collettiva e strumento propedeutico ad un nuovo modello di sviluppo.

di Cristiano Valente

Nel dibattito politico sindacale, anche quello più sensibile e vicino alle sorti delle classi lavoratrici e alla sua prospettiva di affrancamento dal sistema capitalistico, riguardo alla gravissima crisi economica e sociale che sta dilaniando tutto l’ex occidente sviluppato, dagli Stati Uniti d’America a tutto il continente Europeo, assistiamo all’eterno pendolo fra chi invoca la necessità di aumenti di competitività e produttività, ad un rilancio del ruolo programmatore e di indirizzo degli Stati, a chi invece privilegia un ritorno ad economie più piccole, locali, autocentrate non energeticamente onnivore, rispettose quindi degli equilibri ecologici.
Entrambe, ancor prima di verificare se le soluzioni prospettate siano realmente possibili ed auspicabili per le sorti progressive dell’umanità, non tengono conto dei rapporti di forza necessari per ottenere ciò che formalmente si propongono.
Qualsiasi ipotesi di futuro sviluppo ha necessità di individuare dove sono i soldi necessari per fare ciò che si chiede e si prospetta, quali categorie privilegiare, quale blocco sociale avere come riferimento.
Le economie locali per potere essere una reale prospettiva di alternativa globale e non rimanere economie di nicchia, o splendide avventure personali per chi le pratica, devono rispondere ai bisogni reali non solo delle comunità ma porsi immediatamente come modello universale di sviluppo.
Reclamare la “filiera corta” per gli ortaggi può essere cosa giusta e praticabile, ma altro è garantire un livello standard e universale sui servizi, come l’istruzione, la previdenza, la sanità, la stessa mobilità, che rappresentando appunto diritti universali hanno necessità di essere coniugati globalmente, a meno di non ricadere in una versione edulcorata di sinistra della visione xenofoba e razzista leghista dell’“ognuno è padrone a casa sua”.
Inoltre senza affrontare la questione di quale struttura economica e sociale dovrebbe contenere la cosiddetta “filiera corta” o a “Km.0 “, senza pensare cioè di incidere sul meccanismo di accumulazione del profitto, anzi prospettando possibili alleanze con presunti ceti imprenditoriali illuminati (1) si possono anche produrre merci ecologiche e meno invasive dal punto di vista energetico ed ecologico, ma la contraddizione tipica della sovrapproduzione di merci, che è la ragione di questa crisi, si ripresenterebbe in egual misura.
Tale fenomeno vale anche per gli agrumi i  pomodori, ma anche per la produzione dei prosciutti di Parma, ect.
Analogamente, la contraddizione si ripresenta anche per chi sostiene necessario un aumento di produttività e maggiore competitività, producendo merci con più valore aggiunto e prospettando, all’interno della competizione globale, una nuova accumulazione fondata sull’”economia verde”, (2)
Se questo indirizzo fosse perseguito da tutti gli Stati diventerebbe comunque insostenibile dal punto di vista del consumo energetico ed in ogni caso socialmente devastante.
Senza entrare, infatti, nel merito di quali merci e consumi si parla, ci sarà sempre un paese, una realtà territoriale che ha meno capacità produttive di altre; una classe operaia e masse lavoratici con più o meno diritti garantiti. Il caos della produzione capitalistica, la ineluttabilità del meccanismo economico e del profitto aziendale, riprodurrebbe inevitabilmente lotta di concorrenza, impoverimento di settori proletari, sovrapproduzione di merci, crisi economica e sociale.
Allora prima di un presunto “che fare” diventa prioritario chiedersi quale blocco sociale vogliamo rappresentare. Quali interessi e diritti vogliamo tutelare.
Se vogliamo rappresentare e tutelare gli interessi di una nazione, di un continente (l’U.E. piuttosto che gli USA o la Cina) con tutta la sua articolazione finanziaria economica e sociale, di gruppi industriali più o meno nazionali, (Alitalia piuttosto che Air France) o se ci interessa tutelare realmente gli interessi dei lavoratori, di tutti i lavoratori.
E così torniamo al punto di partenza. Come si trovano e si spostano i soldi a favore delle classi lavoratrici?
Occorre in sostanza avere rapporti di forza favorevoli alle masse lavoratrici.
Per far questo occorre che su alcuni obiettivi la lotta vinca.
Bisogna avere una classe operaia ed una massa di salariati non frustrati e ricattati dalle condizioni economiche e sociali di miseria in cui vivono.
Lo scambio che la FIAT ha imposto ai lavoratori di Pomigliano fra meno diritti, maggior sfruttamento e una pur minima possibilità di lavoro e quindi di reddito si basa su questo assunto.
Per vincere occorre avere una capacità non locale ma nazionale, persino continentale di mettere al centro questioni di redistribuzione del reddito e di stornare quote crescenti di denaro dalla rendita e dal profitto verso i salari.
Occorre interrompere il determinismo economico dell’attuale sistema economico e sociale.
Occorre ripensare ad una stagione centralizzata di lotte e di azione diretta che ridia speranza e dignità alle classi lavoratrici e speranza nel futuro alle nuove generazioni.
Ciò che è possibile fare è individuare terreni su cui tutta la capacità organizzativa del movimento operaio può autonomamente svilupparsi e vincere, dimostrando non solo una concreta possibilità di cambiamento, ma una completa alterità di modello economico e sociale.
L’organizzazione operaia, ed intendo con tale espressione tutte le strutture sindacali e politiche che si richiamano al movimento operaio, con tutti i suoi naturali alleati, giovani, donne, compreso parte delle classi intermedie, oggi sempre più in fase di pauperizzazione, organizzi, per esempio, a livello nazionale (basterebbe in tre o quattro grandi centri metropolitani) Ambulatori Medici gratuiti, da collocare nei territori, usando le Case del Popolo, le sedi sindacali, sedi politiche in cui si dispensino cure di base gratuite per i migranti, i meno abbienti o si facciano cure dentarie a prezzi politici.
Riorganizzi cooperative di consumo e spacci aziendali dove “bypassare” la stessa grande distribuzione affinché l’incubo della quarta o terza settimana sia meno pesante nei bilanci delle famiglie proletarie.
Imponga, con la costituzione di organismi di quartiere nei centri cittadini, il recupero degli alloggi sfitti contro gli sfratti ed impedisca, con la controinformazione, presidi ed occupazioni non violente e costanti dei terreni, la nuova costruzione di periferie degradate o vere e proprie speculazioni edilizie che rimangono vuote per anni, fino a che non venga ripristinato e bonificato tutto ciò che è già costruito.
Mobiliti forza umana e intelligenza con Brigate Internazionali Volontarie per ricostruire parte dell’Aquila, o del Veneto alluvionato, adottando e ripristinando una piazza, una strada etc.
Crei e sviluppi nei servizi, negli enti locali, organismi di controllo e di vigilanza dei lavoratori contro gli sprechi ed il male affare.
Organizzi nel mondo del lavoro tutto, senza aspettare una legge di rappresentanza, la propria rappresentanza in modo capillare, organizzi autonomamente i referendum consultivi sulle piattaforme contrattuali.
Solo in questo modo sarà possibile determinare rapporti di forza favorevoli e conseguentemente sarà forse anche possibile anche una legge sulla rappresentanza sindacale, che come tutte le leggi cristallizza fenomeni già in atto.
Come fu per lo Statuto dei Lavoratori negli anni 70, giudicato allora persino arretrato nei confronti di un’effettiva libertà d’organizzazione e di presenza delle nuove strutture sindacali ed operaie nei posti di lavoro o come fu per la stessa battaglia civile contro l’aborto clandestino.
Anche allora si costituì il CISA (Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto) che con una pratica di azione diretta garantì un servizio reale ad una generazione di giovani donne, garantendogli l’aborto assistito e gratuito e contribuì poi alla stessa promulgazione nel ‘78 della legge sull’aborto terapeutico, levandolo dalla barbarie della “mammane” e dall’ipocrisia della morale cattolica, garantendo una conquista di civiltà umana.
Con una prassi di questo genere sarebbe possibile affrontare anche le più circoscritte e complicate crisi aziendali o i presunti fallimenti e/o delocalizzazioni di attività produttive.
E’infatti possibile ipotizzare occupazioni ed autogestioni di intere filiere produttive, riposizionando e ristrutturando le stesse capacità produttive di questi siti industriali ai fini di una tale attività.
Su queste basi è possibile uscire da una sorta di gioco perverso che da una parte spinge a definire posizioni fintamente avanzate, ma fallaci nella prospettiva economica e sociale e dall’altra rimanda ad una attesa messianica di un qualche altro “unto del signore”,magari di sinistra, accettando il continuo ribasso dei diritti, delle condizioni di vita e di progresso


23/11/2010

Note:
1) il manifesto del 20/11/2010 “cambiare dal basso” di Guido Viale
2) il manifesto del  26/10/2010 Intervista a Landini di Loris Campetti